venerdì 3 ottobre 2014

Francesco (2)

Vorrei esprimere, con il dovuto rispetto (perchè la stesura di un libro è una fatica che merita rispetto), una considerazione a margine del nuovo libro di Antonio Socci «Non è Francesco» (indovinato il titolo omaggiante Lucio Battisti). Premetto di non averlo ancora letto e quindi la considerazione riguarda il 'cardine' su cui si fonda uno dei capitoli, quello del conclave. L'autore ritiene radicalmente nulla l'elezione pontifica rifacendosi alla Costituzione di Giovanni Paolo II "Universi Dominici Gregis". In primo luogo si tratta di ragionare in filo di diritto (ecclesiastico) o non ragionare affatto. Tertium non datur. Le dietrologie, se ci sono, qui non c'entrano e chi vorrà leggerle lo farà per conto suo. Il fondamento dell'interpretazione giuridica è: in claris non fit interpretatio. L'interpretazione si fa ove il testo è oscuro. Altrimenti si legge e basta. Socci riporta l'episodio narrato da una giornalista, Elisabetta Piqué, che narra come al 4° scrutinio giornaliero (ma sarebbe meglio dire 'votazione', poichè lo scrutinio attiene allo spoglio), il 2° pomeridiano del 13 marzo 2013, sia avvenuto quanto segue: una scheda scrutinata era rimasta attaccata a quella votata da uno degli elettori e nell'urna c'era quindi una scheda in più. L'art. 68 della Universi Dominici Gregis prevede in questi casi che se il numero delle schede non corrisponde al numero degli elettori, si bruci tutto e si proceda ad una nuova votazione. Socci argomenta: è sbagliato perchè doveva applicarsi l'art. 69: "Qualora nello spoglio dei voti gli Scrutatori trovassero due schede piegate in modo da sembrare compilate da un solo elettore, se esse portano lo stesso nome vanno conteggiate per un solo voto, se invece portano due nomi diversi, nessuno dei due voti sarà valido; tuttavia, in nessuno dei due casi viene annullata la votazione". Bene, se non fosse per il fatto che la scheda rimasta attaccata non era votata. E' chiaro che l'art. 69 regola un caso e una situazione particolare: quella in cui le schede "sembrino compilate" (sic) dallo stesso elettore in quanto appaiate e quindi - qui è il punto - siano ambedue votate, con lo stesso nome o con un nome diverso. La ratio (qualcuno ancora sa che cos'è la ratio, cioè l'intenzione, della legge?) è: se un elettore ha votato addirittura due volte, pensando di farla franca, non può travolgere l'esito della votazione. Pertanto, se ha votato due volte allo stesso modo, si intenderà un voto; se invece ha votato esprimendo due distinte preferenze, si annulla il suo voto. In claris non fit interpretatio
 Chi ha fatto almeno una volta il presidente di seggio sa cosa significa. Se si può salvare il voto interpretando la volontà dell'elettore o se, invece, c'è odore di dolo, si tratta di casi diversi. Se, come dice l'art.68, non si è in grado di avvedersi del fatto che la mano che abbia votato la scheda in più sia la stessa, quella scheda, bianca o contrassegnata, invalida tutta l'elezione e quindi si brucia e si rivota. Il caso della Piqué ricade nell'art.68 perchè la scheda "è rimasta attaccata" e quindi non è stata votata: non può trattarsi del caso dell'art. 69.
Altro capitolo è quello di chi debba dichiarare, eventualmente, la nullità. L'elezione di Bonifacio VI (896) fu dichiarata nulla (quindi non annullata, ma dichiarata mai esistita) due anni dopo da Giovanni IX, altro legittimo pontefice, ma (stranamente) a nessuno venne mai in mente che potesse non essere mai stato papa e la sua immagine non fu mai tirata giù da San Paolo fuori le Mura. Concludo col messaggio dato ad Ivan Dragicevic da Maria a Medjugorje dello scorso 17 agosto: "[..] Particolarmente cari figli, in questo tempo pregate per il mio amatissimo Santo Padre, pregate per la sua missione della pace[..]". Chissà a chi si riferiva Maria.

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